Testimonianza e storie Maker Lab

Gli operatori dei Maker Lab hanno potuto constatare un esito positivo dei percorsi proposti attraverso il loro impatto trasformativo, sia su di loro stessi che sui ragazzi coinvolti. In molte situazioni, l’adozione di un approccio meno convenzionale e più circolare, piuttosto che frontale, il contesto maggiormente ludico e orientato alla produzione di compiti di realtà ha favorito un ingaggio maggiore perché frutto di un’esperienza vissuta su di sé.

Obiettivo

L’adozione di metodologie didattiche innovative unite a un’attenzione individuale ha prodotto risultati inaspettati, lasciando un’impronta tangibile su numerosi ragazzi. Per molti di loro, questo cambiamento ha significato superare resistenze personali e limiti autoimposti come egoismo, timidezza, senso di inadeguatezza, mentre acquisivano nuove competenze espressive, relazionali, pratiche oltre che la padronanza di nuovi strumenti da impiegare in altri contesti. In alcuni casi ha permesso ad alcuni ragazzi di cambiare radicalmente il punto di vista su loro stessi, sulle proprie capacità, e sul loro mondo: gli altri compagni e gli adulti.
Un altro indicatore significativo della buona riuscita di un percorso è di sicuro la manifestazione della piena collaborazione nel gruppo di lavoro, accompagnata da complicità e intimità tra i partecipanti.

Questi elementi, e altri ancora, emergono dalle storie di piccoli, ma anche enormemente significativi, eventi trasformativi che hanno saputo cogliere e raccontare alcuni degli operatori protagonisti dei Maker Lab salesiani. Eccone una Raccolta.

Il progetto Maker Lab è stato rivolto a due gruppi di studenti di diverse classi seconde e una classe terza: nel primo gruppo sono stati coinvolti studenti con particolari disagi a livello familiare, sociale e scolastico, in particolare carenti sul rendimento e problematici dal punto di vista della disciplina.

Il progetto ha dimostrato una loro partecipazione consapevole, responsabile e autonoma e un miglioramento negli atteggiamenti verso docenti e verso l’ambiente scolastico: ad esempio i ragazzi si sono organizzati in autonomia per raggiungere la sede del progetto insieme, creando un gruppo coeso e affiatato, hanno frequentato sempre in modo assiduo, con molto entusiasmo e con una partecipazione attiva; hanno sentito settimanalmente il bisogno di raccontare ad alcuni docenti e ai loro compagni (rimasti nelle classi) la piacevole esperienza con dettagli inerenti i contenuti del progetto.

Per molti di loro è migliorato anche il comportamento in classe, con maggior rispetto per le regole e correttezza nei rapporti interpersonali con coetanei o adulti. Il secondo modulo invece è stato caratterizzato da ragazzi con rendimento scarso o insufficiente ma senza problematiche a livello disciplinare; studenti con famiglie molto apprensive e protettive, verso le quali è stato richiesto un affiancamento per favorire la partecipazione dei loro figli, che per la prima volta si sono mossi in autonomia fuori dalla loro zona di appartenenza.

Questi ultimi, sempre appartenenti a classi diverse, sono riusciti a creare un gruppo unito e produttivo, manifestando piacere per l’esperienza proposta, spirito di gruppo e collaborazione adeguata. La sottoscritta referente scolastica del progetto ha lavorato in piena sintonia con gli e educatori/formatori dell’Oratorio, condividendo i valori di base e le tecniche pedagogiche adottate con i ragazzi: questa sintonia ha avuto un effetto positivo anche sugli studenti e sulle loro famiglie, con le quali si è creato un rapporto di fiducia e stima.

R. l’ho notata subito, la prima volta che l’ho incontrata. Stavo raccontando a loro, nuovi ragazzi del Maker Lab di Valdocco, in che razza di avventura si stessero cacciando, e che per partire insieme a me, misteriosa sconosciuta, avrebbero dovuto fidarsi dei loro insegnanti e firmare un patto, un patto che era anche una promessa. R. mi guardava con indifferenza, interpretava con aria di sufficienza il suo perfetto personaggio scolastico, commentava con l’amica S. l’outfit dei presenti, probabilmente anche il mio. Ma io ho visto qualcosa in fermento nei suoi occhi, una sorta di movimento involontario delle pupille che faceva a pugni con ciò che cercava di mostrare di sé.

Quando l’ho rivista due settimane dopo al Maker, aveva già abbassato le sue difese. R. è attratta da tutto ciò che richiama l’Oriente. Conosce diversi ideogrammi cinesi ed alcuni kanji giapponesi, ama la cultura pop coreana, di cui conosce la musica, i personaggi più in voga, la moda, le coreografie e anche i prodotti make – up più usati in ambito estetico. Ama studiare le lingue straniere e viaggiare, pur non essendo mai uscita prima dal quartiere Vallette. La sua curiosità la spingeva a voler conoscere tutti gli studenti del CFP di origine asiatica, a volte si sedeva allo stesso loro tavolo in sala giochi, ma poi la timidezza le impediva di attaccar bottone e si limitava ad ascoltarli.

Insieme abbiamo cercato su internet tutti i licei linguistici di Torino e provincia e ha già scelto l’unico in cui è possibile fin da subito studiare il cinese. La mamma di R. è una donna che ha paura, ha paura per sé stessa e per le sue quattro figlie, la più piccola di appena otto mesi; ha paura del mondo, dentro e fuori Vallette, ha paura di tutto ciò che non conosce, ha paura per questa figlia, R., così libera nella sua fantasia.

Ha paura perché già la vita dentro le sue quattro mura è spaventosa, ha paura perché lei e le sue quattro figlie, conoscono la violenza. Questa volta però, la mamma di R. ha superato sé stessa, si è fidata di quell’insegnante che le spiegava quanto bella potesse essere l’esperienza del Maker per la sua ragazza, si è fidata di me, quella perfetta sconosciuta, e ha permesso a R., anche contro la volontà del padre, di prendere i mezzi pubblici con i suoi compagni, uscire da Vallette e arrivare fino a Valdocco. Neanche un viaggio fino in Corea potrebbe spiegare la grandezza del viaggio di R. e il coraggio della sua mamma.

I genitori sono parte integrante dell’esperienza del Maker Lab, una presenza che va ben oltre la firma sul patto di corresponsabilità; perché non è possibile comprendere fino in fondo i ragazzi senza conoscerne le origini. Laddove possibile, la fiducia dei genitori nella proposta educativa deve diventare parte integrante del percorso di crescita dei ragazzi. Da educatori, dobbiamo fuggire dall’errore di considerare il ragazzo e la sua storia come un unico “pacchetto”, come un sistema chiuso. Ogni ragazzo è il nodo di una rete e porta con sé un sistema di relazioni che vanno conosciute, approfondite, curate.

Il tempo che il Maker Lab ci dona con questi ragazzi non è sufficiente a far questo tipo di lavoro, ma sentiamoci un po’ come dei piccoli giardinieri: non possiamo immaginare noi il giardino in estate, ma intanto curiamo ogni fogliolina, innaffiamo ogni radice.

Nella mia esperienza personale, ho capito che troppo spesso si guarda alla didattica come a un insieme di blocchi non comunicanti fra loro. C’è la matematica, con le sue elucubrazioni astratte e concrete, c’è la storia, coi fatti successi così lontani da noi che nemmeno sappiamo più perché vale la pena studiarla, c’è la grammatica e ci sono le lingue, come se fosse importante riflettere su sistemi linguistici che – nel migliore dei casi – conosciamo già.

Se è vero, come è vero, che l’idea stessa di una didattica laboratoriale ha un suo fondamento già prima di Dewey e del suo famoso motto “learning by doing” (chissà forse con il Metodo Scientifico, o ancora prima con le scuole filosofiche dell’antica Grecia!), allora mettendoci nelle mani di un progetto che fa del “laboratorio” e del “fare” il centro della propria didattica, sapevamo che non avremmo fallito.

Il Maker Lab è stata una scelta facile, immediata. Eravamo coscienti che, particolarmente in scuole ad alto rischio dispersione, con classi difficili da gestire e alunni anestetizzati dai “metodi tradizionali”, il giovamento sarebbe stato immediato. Poco importa, certe volte, che i docenti s’inventano le più disparate metodologie per tenere i loro alunni lontani dai sonnellini non richiesti sui banchi di scuola; spesso è proprio l’ambiente-scuola in quanto tale che genera sonnolenza. O ribellione, voglia di saltare sulla sedia, strafare, gironzolare. E ci mancherebbe, aggiungo io! Sono ragazzi di scuola media, ed è naturale che sia così. Ma come canalizzare questa impellente vivacità in processo propedeutico per la loro crescita? Il “fare”, mi è subito sembrata la strategia migliore.

Ciò che mi ha colpito di più è che il contributo del Maker non ha aiutato solo i ragazzi, ma persino la scuola in toto e i docenti. Per varie ragioni. Innanzitutto, i docenti accolgono gli alunni del Maker Lab sotto una nuova ottica, perché sono consapevoli (e continuamente informati!) degli obiettivi e degli sviluppi dei ragazzi durante le giornate di laboratorio. Diverse volte mi sono trovato ad adottare tecniche, software o metodologie, che io stesso ho appreso dagli educatori del Maker. Secondariamente, gli allievi – per così dire – “rimasti fuori” da un crudele ma necessario processo di selezione, aspirano a poterne prendere parte in un ipotetico futuro, per cui chiedono, si informano, apprendono dai propri compagni e si comportano in modo tale da sentirsi “meritevoli”. Confesso di aver maliziosamente usato la tecnica del rinforzante “Se ti comporti bene, ti propongo per il Maker l’anno prossimo”, diverse volte.

La selezione, in scuole come la nostra, è sempre molto difficile. Quasi tutti gli alunni dell’istituto presentano caratteristiche che li renderebbero candidati ideali. Rischio dispersione, situazioni familiari estremamente difficili, poca autostima, iperattività, intolleranza verso le lezioni frontali, allergia al banco e alla sedia. Tuttavia, i ragazzi che hanno frequentato questo progetto, sono arrivati alla fine con degli apprendimenti che vanno ampiamente al di là rispetto a qualche (sia chiaro, utilissima) nuova tecnica nello studio, nella manualità, nel disegno, nella robotica. Hanno conquistato invece una nuova concezione dello stare insieme. Il lavoro su piccolo gruppo, naturalmente, facilita questa conquista, ma ho visto con i miei occhi alunni che hanno riportato in classe capacità di leadership e grande dimestichezza nel lavorare in collaborazione con i compagni. Secondariamente, i ragazzi e le ragazze del maker hanno conquistato indipendenza e autonomia, attraverso un percorso di fiducia che parte dal patto di co-responsabilità firmato con le famiglie e passa per il dover muoversi nella città in autonomia per arrivare puntuali al laboratorio. Concessioni di fiducia non scontate, che però hanno ripagato enormemente. Con tutto questo, non si vuole dire che il Maker Lab ha la bacchetta magica per trasformare un allievo disorganizzato in un ipotetico migliore della classe. S’intende semplicemente che, grazie alla sinergia nella progettazione, al rapporto fra educatori, docenti e famiglie e alle disponibilità degli spazi, il progetto è costruito per dare a tutti gli alunni (aggiungo anche ai docenti e alle scuole) la possibilità di realizzare a pieno il loro potenziale.

Una classe complicata del nostro territorio faticava nella disciplina con difficoltà di lavoro in classe e tra compagni. L’ambiente scolastico abbastanza degradato da un punto di vista della struttura. I ragazzi poco motivati.

Con le insegnati si è studiato un percorso che coniugasse studio e loro interessi, in co-progettazione tra insegnanti ed educatori. Si è deciso di far costruire dei giochi, che poi avrebbero tenuto in classe, (dama, tris,…) o avrebbero potuto portare a casa. I ragazzi hanno applicato alcune regole di geometria, hanno lavorato insieme e per molti è venuta voglia di tornare nei pomeriggi per le attività più libere.

Anche con gli insegnanti da quell’esperienza è nata una collaborazione continuativa.

Mi ricordo di una ragazza di nome H., una partecipante del Maker Lab. H. era una ragazza introversa e timida, con poca fiducia nelle proprie capacità. Era spesso titubante nell’esprimere le proprie idee e non si sentiva all’altezza dei suoi compagni di squadra. Durante una sessione di Maker, il gruppo di H. stava lavorando su un compito impegnativo che richiedeva creatività e abilità tecniche. Inizialmente, H. si ritirava e lasciava che gli altri membri del gruppo prendessero le decisioni importanti. Tuttavia, un giorno ho notato che sembrava particolarmente ispirata da un’idea che gli era venuta in mente.

Decisi di incoraggiarla e di far sentire la sua voce nel gruppo. Durante una sessione di brainstorming, le ho dato la possibilità di presentare la sua idea. H., inizialmente incerta, ha condiviso la sua proposta con il gruppo. Ha esposto i dettagli con passione e ha spiegato come la sua idea potesse risolvere alcune delle sfide del progetto. A mia sorpresa, gli altri membri del gruppo hanno accolto positivamente l’idea di H. e hanno iniziato a discuterne approfonditamente. Si è trasformata da una ragazza riservata a una leader creativa, e il suo contributo ha avuto un impatto significativo sul progetto. L’esperienza di H. è un esempio di come l’ambiente stimolante dei Maker Labs possa permettere ai partecipanti di scoprire e sviluppare le proprie competenze e fiducia in sé stessi.

La possibilità di esprimere le proprie idee e di essere ascoltati ha spinto H. ad uscire dalla sua zona di comfort e a cogliere l’opportunità di fare la differenza. Questa esperienza ha anche evidenziato l’importanza delle dinamiche relazionali all’interno del gruppo. Il sostegno e l’incoraggiamento forniti da me e dagli altri membri del gruppo hanno contribuito a creare un ambiente sicuro in cui Hasnae si sentiva a suo agio nel condividere le sue idee. Inoltre, il feedback positivo ricevuto dagli altri membri ha rafforzato la sua autostima e la sua fiducia nelle proprie capacità. Il cambiamento trasformativo che ho osservato in H. non si è limitato solo al suo coinvolgimento nel progetto. Nel corso del tempo, ho notato come si sia aperta di più, sia diventata più assertiva nelle sue interazioni con gli altri e abbia sviluppato una maggiore fiducia in sé stessa.

Ha iniziato a partecipare attivamente alle attività di gruppo, offrendo il suo contributo e supportando gli altri partecipanti.

L’alunno, frequentante la classe terza, che ho iscritto al progetto è abbastanza chiuso e difficilmente si apre nel raccontare le proprie emozioni o aspirazioni. La situazione è resa più complessa dal fatto che sta ripetendo la classe terza, quindi ha dovuto reinserirsi da zero in un nuovo gruppo classe. Un giorno all’intervallo mi ha cercato per ringraziarmi di avergli proposto il laboratorio, perché “era figo lavorare con la stampante 3D e fare le cose al computer insieme agli altri”.

Da parte sua è stato un buon segnale di apertura, perché è raro che dimostri apertamente di apprezzare qualcosa, anche quando è evidente dall’atteggiamento o dai risultati che l’argomento trattato gli interessa. Inoltre mi ha chiesto più volte quando l’educatore sarebbe venuto a scuola per la restituzione del lavoro: segno evidente che ci tiene a rendere partecipi i compagni del percorso svolto.

M. è tutta nel suo album da disegno. Se la incontrassi per strada, la vedresti muovere distrattamente nella sua maglietta troppo corta e nei suoi pantaloni troppo lunghi, pestati e strappati ad ogni passo sotto le suole; la borsa di tela, piena di matite colorate, le ciondolerebbe dalla spalla, la sua testa bionda, decolorata, sarebbe rivolta alle nuvole.

Se la incontrassi a scuola, durante l’ora di lezione, vedresti una bambina strafottente con le insegnanti, intenta a viaggiare nel suo mondo guardando fuori dalla finestra, a dipingere completamente il banco di fucsia, a scrostare il muro dalle sue imperfezioni, immaginando magari un grande murales con un personaggio irriverente. Se la incontrassi durante una mattinata del Maker Lab a Valdocco, vedresti una ragazzina con gli occhi di ghiaccio e il sorriso timido, che ad ogni domanda risponde con un insicuro “non lo so” o “non lo voglio sapere”. Allora abbiamo smesso di farle domande e lei ci ha ringraziato presentandoci il suo album da disegno.

L’album da disegno di M. è immaginato, pensato e progettato; contiene lo studio di tutti i dettagli della figura umana, delle tonalità della pelle, dei colori applicati alle forme degli abiti, fino alla creazione di modelli umani quasi fantastici, con uno sguardo all’Oriente. Al di là di come M. appare, con il suo comportamento e con il suo modo di relazionarsi con la scuola, M. studia, ricerca, progetta, si impegna. Tra tutti i ragazzi che hanno vissuto l’esperienza del Maker Lab con lei, M. è stata quella che ha imparato di più; il Maker le è servito per prendere coscienza dell’essere capace in qualcosa, dell’essere brava, perché sembra assurdo, ma il suo album non le è sufficiente per vederlo. Per un educatore, una ragazza come M. è un bene prezioso, perché lo obbliga a riflettere e a porsi delle domande: qual è il lavoro da fare con lei?

Come la si può aiutare nel trasformare il suo mondo interiore in un percorso di apprendimento e di crescita positivi? Cosa blocca questo processo? Per fortuna, le risposte sono tutte da scoprire. Una delle capacità più importanti di un educatore è quella di saper entrare nella vita dell’Altro aggiungendo una virgola alla sua storia, un respiro tra due paragrafi.

E questa è anche il suo più grande privilegio.

L’ultimo incontro di Maker Lab è stato caratterizzato dalla valorizzazione da parte degli studenti (quasi tutti frequentanti le classi terze) del prodotto finale che avevano progettato e creato durante i vari incontri: un gioco in scatola. Il primo momento di valorizzazione ha visto gli studenti girare una breve clip con l’obiettivo di promuovere il gioco evidenziandone gli aspetti principali. È stato interessante osservare la loro condivisione di idee, la propositività e l’impegno tecnico per raggiungere al meglio l’obiettivo.

Il secondo momento di valorizzazione ha visto gli studenti narrare a un operatore esterno tutto ciò che avevano fatto. La narrazione è stata accompagnata dalla volontà di rendere visibile tutto ciò che avevano creato. Ciò che mi ha colpito è stato l’entusiasmo e la serenità ma anche il desiderio di ogni studente di dare il suo contributo, di fare la sua parte. La parola chiave che ho il desiderio di evidenziare tramite questa narrazione è “NOI”. È stata una delle parole più pronunciate dagli studenti: “noi abbiamo fatto…”, “noi abbiamo pensato…”, “noi siamo stati…”.

Ecco quindi che l’unicità di ciascuno è stata strumento per valorizzare il gruppo, e la “potenza” del gruppo è stata strumento per valorizzare l’unicità di ciascuno. Si è partiti “semplicemente” come studenti di classi diverse all’interno di una stessa aula e si è concluso il percorso come gruppo formato da singoli di valore che sanno valorizzare. Penso che questo aspetto possa essere prezioso per vivere ancora meglio il loro percorso scolastico e in generale la loro quotidianità, valorizzando sé stessi e gli altri.

Infine è sicuramente stato un momento di riflessione, stimolo e esempio anche per gli operatori per fare sempre meglio all’interno del loro lavoro di équipe.

Immaginate di essere invisibili e di poter entrare, senza farvi vedere, in un luogo solitamente non accessibile al pubblico. Vi trovate a Valdocco, nella zona del CFP, diciamo all’altezza della segreteria; è mercoledì e sono all’incirca le 11. Guardando verso sinistra, sul fondo, si vede la porta dell’antica tipografia salesiana: è proprio lì che andremo, respirate la storia! Ecco, ora vi prendo per mano e vi porto a vedere cosa stanno facendo i ragazzi del Maker Lab di Valdocco. Una volta entrati, il clima è disteso. M. è seduto al grande tavolo di legno, un po’ scivolato sulla sedia, il cappuccio della felpa sulla testa, il cellulare in mano.

Appena mi sente arrivare tira su la testa e stranamente sorride: ha già finito di stampare la sua maglietta ed è soddisfatto del risultato. La sua presenza costante e la sua voglia di essere sempre il primo a finire le attività denotano un interesse inaspettato nei confronti del Maker; certo è anche la sua strategia per garantirsi una parte della mattinata libera da incombenze, ma voi lo sapete che a scuola passa le mattinate a dormire letteralmente sul banco? Intorno al tavolo ci sono anche G. e L.: loro sono qui per imparare a credere di più in loro stessi. L. non riesce ad incidere con il taglierino il disegno che ha stampato, è un lavoro di precisione e le sue mani non gli permettono di compiere movimenti così precisi e puliti. Per fortuna G. lo aiuta, sono diventati amici qui, a Valdocco.

Vicino a loro, S. lavora alla postproduzione delle foto che hanno scattato lo scorso mercoledì, seguendo attentamente le direttive del loro formatore. R.è una fan sfegatata del K-POP: ha scelto con cura i disegni che vorrà stampare sulla sua maglietta e ne sta modificando la grafica. Se. invece è stanca: siamo in pieno Ramadan ed affrontare una mattinata piena non è semplice; ha deciso di stampare una grafica di prova, un disegno che ricorda le sue cuffie su una sfumatura magenta molto intensa; non ha voglia di pensare a qualcosa di definitivo. Un po’ isolata dagli altri, in mezzo a macchinari più grandi di lei, So. sta stampando la sua maglietta con la pressa: le grafiche che ha scelto urlano a gran voce la sua costante ricerca di amore. Finalmente la vedo felice, e lei ci tiene a dirmi che per la prima volta nella sua vita, si sente veramente orgogliosa di sé stessa.

Ecco, vedi, stampare delle magliette può sembrare banale, ma per questi ragazzi la loro maglietta è un traguardo: trasuda impegno e dedizione. Ogni maglietta è unica, come unico è chi l’ha progettata. I disegni che hanno scelto li rappresentano, nel qui ed ora, ma anche nelle loro aspirazioni. Quelle magliette stracciano il vestito di incapacità che hanno portato addosso per troppo tempo. Ora ti lascio andare alla tua giornata, ma ti chiedo di raccontare quello che hai visto: questi ragazzi sono spesso nascosti, sono quelli di cui i media e gli anziani parlano negativamente. Meritano luce.

La mia è un’esperienza leggermente diversa rispetto a quella dei miei colleghi, perché ho avuto il privilegio di essere presente a tutti gli incontri di un modulo Maker per due ore dalle 12 alle 14. Ho potuto quindi constatare direttamente l’impegno dei ragazzi e delle ragazze e il loro progresso all’interno di questo interessantissimo progetto.

1. Ho avuto il piacere di accompagnare tre alunni del primo modulo presso la fiera Didacta di Firenze per svolgere un laboratorio, organizzato insieme al Maker Lab di Valdocco. L’esperienza è stata avvincente fin dal viaggio di andata, perché due dei tre non avevano mai viaggiato in treno. Il loro entusiasmo ha ben presto contagiato tutti i passeggeri, con i quali i ragazzi hanno fatto amicizia e condiviso due risate. Il laboratorio in sé ha coinvolto processi di apprendimento esperienziale che riguardano l’”imparare facendo”, questa volta relativo al coding. Si è notato fin da subito l’interesse dei ragazzi che, poiché erano coinvolte le loro competenze logiche sotto forma di gara, hanno trascorso proficuamente e felicemente le 2 ore del laboratorio. La passeggiata nel centro storico di Firenze è stata la ciliegina sulla torta di una giornata all’insegna dell’interdisciplinarietà. Ho avuto il piacere, infatti, di presentare ai ragazzi un pizzico di storia relativa ai monumenti che hanno visitato.

2. Un’alunna – con evidenti problemi di frequenza scolastica e ad alto rischio di dispersione – non solo ha partecipato attivamente modulo mattutino, ma ha iniziato a frequentare l’oratorio il pomeriggio. Ha fatto registrare anche molte meno assenze nel secondo quadrimestre.

3. Un’altra alunna ha scoperto un talento da video-maker. Il primo video prodotto dai ragazzi di un secondo modulo, infatti, è stato girato e montato da lei, con l’aiuto degli educatori. Sempre la stessa ragazza, ha fatto registrare notevoli progressi con alcuni software informatici, ma in generale il suo impegno – durante il laboratorio – è stato encomiabile.

4. Un mio alunno, con disturbi specifici dell’apprendimento, è migliorato sotto due aspetti: L’uso di alcuni software informatici (come Canva), utilizzati spesso dal sottoscritto per svolgere lavori di gruppo; La collaborazione con i compagni. L’alunno infatti, era molto selettivo quando si trattava di svolgere lavori di gruppo, ma, da quando frequenta il Maker Lab, collabora meglio quasi con tutti i compagni.

5. Tutti gli alunni, a mio avviso, hanno avuto possibilità di esprimere loro stessi, le loro passioni, la loro interiorità attraverso metodi educativi. Dallo storytelling alla stampa di magliette, i ragazzi e le ragazze hanno avuto la possibilità di far fluire il loro mondo interiore in un contesto di apprendimento. Quando si è trattato di fare le magliette con il logo di Maker Lab, i ragazzi hanno scelto accuratamente il font e la grafica che più fosse vicina alle loro passioni: dal calcio alle lingue orientali, dai grattacieli di New York a la lingua araba. È un modo di avvicinare gli alunni all’apprendimento che io stesso utilizzo nella mia didattica quotidiana, ma che loro hanno sperimentato in un contesto più orientato sul fare.

Maker Lab pomeriggio – Medie. Bisogna affrontare un percorso ad ostacoli con i robot Lego. Non è solo una gara di velocità ma anche di precisione e ragionamento. I ragazzi devono far superare degli ostacoli al loro robot. Ricordo questa situazione per la particolare concentrazione, fino ad allora mai così visibile, con cui progettavano, prendevano appunti, misuravano.

Oltre a tutte queste operazioni tecniche anche esclamazioni entusiaste oppure di disappunto per non essere riusciti a fare una determinata cosa.

Oltre a un percorso “fisico” è stato anche un percorso nelle emozioni la cui espressione testimonia l’impegno e l’interesse durante l’avventura Maker. Un impegno di cui ricordarsi e che può essere da stimolo nella vita di tutti i giorni.

A. è nato in Italia, a scuola è timido e non ha spazio per poter esprimere se stesso, nemmeno per chiedere spiegazioni ai professori durante le lezioni. In classe fa fatica a tirar fuori le sue opinioni. Gli insegnanti al momento del colloquio esprimono preoccupazioni per la sua produzione orale in quanto il ragazzo fatica durante le interrogazioni ad utilizzare un linguaggio corretto e adeguato alla materia. Tutto ciò è causato dall’ambiente classe che fagocita le persone miti e le rende “invisibili” agli occhi degli insegnanti, impegnati a riprendere gli alunni più rumorosi.

A. quando abbiamo cominciato il progetto era molto impacciato e si vergognava di raccontare la sua esperienza scolastica e il suo vissuto personale. Un giorno dissi al gruppo che chi voleva poteva provare a “lanciarsi” con la spiegazione di un goals (dell’agenda 2030 – tema trattato insieme) in preparazione dell’evento finale. Con mio grande stupore A. si prenotò per primo per la spiegazione, utilizzando i termini corretti e un linguaggio adeguato. Inoltre, durante la lezione ha aiutato i compagni che faticavano nell’esposizione cercando di farli ripetere, condividendo gli appunti presi con un grande spirito di peer tutoring e buone prassi apprese.

A fine giornata, durante il circle time, chiedendo a tutti come fosse andata la giornata, A. mi ha detto che era contento di aver avuto il coraggio di alzarsi e provare a ripetere davanti ai compagni.

Qui posso davvero affermare con grande gioia che il suo obiettivo è stato pienamente raggiunto. Il maker ha fatto centro!

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