Nella mia esperienza personale, ho capito che troppo spesso si guarda alla didattica come a un insieme di blocchi non comunicanti fra loro. C’è la matematica, con le sue elucubrazioni astratte e concrete, c’è la storia, coi fatti successi così lontani da noi che nemmeno sappiamo più perché vale la pena studiarla, c’è la grammatica e ci sono le lingue, come se fosse importante riflettere su sistemi linguistici che – nel migliore dei casi – conosciamo già.
Se è vero, come è vero, che l’idea stessa di una didattica laboratoriale ha un suo fondamento già prima di Dewey e del suo famoso motto “learning by doing” (chissà forse con il Metodo Scientifico, o ancora prima con le scuole filosofiche dell’antica Grecia!), allora mettendoci nelle mani di un progetto che fa del “laboratorio” e del “fare” il centro della propria didattica, sapevamo che non avremmo fallito.
Il Maker Lab è stata una scelta facile, immediata. Eravamo coscienti che, particolarmente in scuole ad alto rischio dispersione, con classi difficili da gestire e alunni anestetizzati dai “metodi tradizionali”, il giovamento sarebbe stato immediato. Poco importa, certe volte, che i docenti s’inventano le più disparate metodologie per tenere i loro alunni lontani dai sonnellini non richiesti sui banchi di scuola; spesso è proprio l’ambiente-scuola in quanto tale che genera sonnolenza. O ribellione, voglia di saltare sulla sedia, strafare, gironzolare. E ci mancherebbe, aggiungo io! Sono ragazzi di scuola media, ed è naturale che sia così. Ma come canalizzare questa impellente vivacità in processo propedeutico per la loro crescita? Il “fare”, mi è subito sembrata la strategia migliore.
Ciò che mi ha colpito di più è che il contributo del Maker non ha aiutato solo i ragazzi, ma persino la scuola in toto e i docenti. Per varie ragioni. Innanzitutto, i docenti accolgono gli alunni del Maker Lab sotto una nuova ottica, perché sono consapevoli (e continuamente informati!) degli obiettivi e degli sviluppi dei ragazzi durante le giornate di laboratorio. Diverse volte mi sono trovato ad adottare tecniche, software o metodologie, che io stesso ho appreso dagli educatori del Maker. Secondariamente, gli allievi – per così dire – “rimasti fuori” da un crudele ma necessario processo di selezione, aspirano a poterne prendere parte in un ipotetico futuro, per cui chiedono, si informano, apprendono dai propri compagni e si comportano in modo tale da sentirsi “meritevoli”. Confesso di aver maliziosamente usato la tecnica del rinforzante “Se ti comporti bene, ti propongo per il Maker l’anno prossimo”, diverse volte.
La selezione, in scuole come la nostra, è sempre molto difficile. Quasi tutti gli alunni dell’istituto presentano caratteristiche che li renderebbero candidati ideali. Rischio dispersione, situazioni familiari estremamente difficili, poca autostima, iperattività, intolleranza verso le lezioni frontali, allergia al banco e alla sedia. Tuttavia, i ragazzi che hanno frequentato questo progetto, sono arrivati alla fine con degli apprendimenti che vanno ampiamente al di là rispetto a qualche (sia chiaro, utilissima) nuova tecnica nello studio, nella manualità, nel disegno, nella robotica. Hanno conquistato invece una nuova concezione dello stare insieme. Il lavoro su piccolo gruppo, naturalmente, facilita questa conquista, ma ho visto con i miei occhi alunni che hanno riportato in classe capacità di leadership e grande dimestichezza nel lavorare in collaborazione con i compagni. Secondariamente, i ragazzi e le ragazze del maker hanno conquistato indipendenza e autonomia, attraverso un percorso di fiducia che parte dal patto di co-responsabilità firmato con le famiglie e passa per il dover muoversi nella città in autonomia per arrivare puntuali al laboratorio. Concessioni di fiducia non scontate, che però hanno ripagato enormemente. Con tutto questo, non si vuole dire che il Maker Lab ha la bacchetta magica per trasformare un allievo disorganizzato in un ipotetico migliore della classe. S’intende semplicemente che, grazie alla sinergia nella progettazione, al rapporto fra educatori, docenti e famiglie e alle disponibilità degli spazi, il progetto è costruito per dare a tutti gli alunni (aggiungo anche ai docenti e alle scuole) la possibilità di realizzare a pieno il loro potenziale.